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Il malato cronico in generale e, nello specifico, il malato di cefalea, non porta sulle spalle soltanto l’insopportabile dolore dell’attacco, ma tutta una serie di malesseri e sintomi. Chi soffre di questa patologia, quasi mai compresa, sa bene quanto cominci a sentirsi male e strano quando ancora il dolore non c’è. Lui stesso cerca di minimizzare quel senso di profonda stanchezza. Il malato di cefalea già alcuni giorni prima che arrivino le coltellate da un lato della testa o da tutti e due, se gli chiedi all’improvviso come si chiama, ci deve ragionare e magari ripassare, se ce la fa, tutto l’albero genealogico della sua famiglia.

Ma non basta: il malato di cefalea è uno zombie anche nei giorni successivi all’attacco. La sua vita però deve andare avanti e si ritrova così a dover stare molto attento: in famiglia, con gli amici o sul posto di lavoro, non può fare figure che porterebbero gli altri a non capire, a compatire, a saltare a conclusioni a dir poco lesive della sua dignità.

Il malato di cefalea finisce così con il preferire la situazione più semplice: indossa una maschera e brancola nel buio del dolore cronico, lottando con prodromi, attacco e postdromi. Nasconde anche a sé stesso la sua malattia. Nel buio non si rivolge subito ad uno specialista. Tira, per così dire, a campare e il suo campare male gli corrode il fisico e la mente.

Il vomito diventa abitudine anche quando l’attacco non c’è, perché ad un certo punto vomita sulla sua parvenza di esistenza, quella che è costretto a vivere. Si colpevolizza e vomita anche sull’immagine distrutta di sé. I farmaci presi alla rinfusa, ingoiati anche senza leggere il bugiardino, non lo aiutano più. Sono essi stessi, quando arriva a prenderne troppi, che portano al dolore. Gli intervalli di vita normale sono sempre più rari.

Nel tempo, a mie spese, una cosa l’ho capita bene: il malato di cefalea DEVE rivolgersi il prima possibile ad uno specialista della cefalea. Questi DEVE essere un medico in grado anche di ascoltarlo. DEVE essere un medico in grado di assistere anche psicologicamente un malato spesso divorato da dubbi. DEVE, con professionalità, renderlo consapevole della necessità di collaborare se vuole raggiungere un miglioramento della sua vita. Perché questo malato difficile e incompreso, se è arrivato finalmente al suo cospetto, ha capito anche che una svolta è urgente. A questo punto nessuno, dico nessuno, DEVE farlo pentire di aver cominciato a camminare nella direzione giusta.

By Vicky