Di falsi medici ne ho incontrati tanti.
Ero molto malandata anni fa, combinata male.
Alla deriva.
Non sto esagerando come fanno tante persone usando questa espressione con leggerezza, così come quando dicono: “sono depresso” e magari sono a lamentarsi di un periodo fugace di piccole difficoltà.

Io ero alla deriva davvero.

Un amico medico che stava seguendo mio figlio se ne rese conto e mi guardò attentamente. Era dispiaciuto. Mi disse che avrebbe prenotato il mio ricovero in una clinica privata della sua città. Sarei entrata lì e ci sarei rimasta almeno per sette giorni. Provai a ribellarmi perché non volevo lasciare i miei figli ancora piccoli. Loro non si erano resi conto di quanto male stesse la loro mamma e neanche sul posto di lavoro si erano resi conto di nulla. Era maggio, quasi la fine dell’anno scolastico e lasciai, a una preside esterrefatta, un registro compilato in ogni minimo particolare, con voti e giudizi finali di oltre centocinquanta alunni che erano stati seguiti con attenzione e professionalità. Chi mi avrebbe sostituita in quel breve scorcio di tempo, avrebbe avuto la strada spianata completamente e l’avrei guidato e preso per mano con relazioni dettagliate.

Quando salutai mia sorella, sul pianerottolo di casa sua, scoppiai a piangere e dovetti tenermi dalle pareti per andare in ascensore. Mi sentii come se non dovessi tornare più.

Non sto esagerando. Nessuno aveva ancora capito di cosa soffrissi. Stavo malissimo, non riuscivo neanche a camminare.

Quando arrivai in clinica dopo un viaggio estenuante in treno, caddi sul letto che mi assegnarono. Vomitavo e mi contorcevo dal dolore alla testa, qualcosa che avevo provato spesso, ma che ora mi sembrava impossibile da sostenere. Ricordo il viso di un infermiere che mi somministrava dei farmaci e che mi guardava compassionevole. Non mi faceva effetto nulla. Vomitai anche lo stomaco e l’anima.

Poi cominciarono a rivoltarmi come un calzino: indagini mediche di ogni tipo, e stavo sempre peggio.
Quando, dopo sei giorni, mi dissero che sarebbe passato un neurologo, mi raccomandarono di stare in allerta perché sarebbe passato da lì a poco e che si trattava del GRANDE Professore…
Non capii cosa significasse, cosa dovessi fare in particolare. Erano le undici del mattino, ma passarono tre ore senza che si vedesse nessuno.
Arrivò il pranzo e lo lasciai freddare miseramente sul tavolino. Dopo tutto quel tempo capii che era meglio mettere qualcosa sotto i denti per evitare di stare peggio. Mi lavai i denti e mi diedi una sistematina, inutile.

Poi mi misi a letto stremata e caddi in un sonno profondo visto che erano molte notti che non chiudevo occhio.
Fui svegliata all’improvviso da un’infermiera scorbutica: “Le avevo detto di tenersi pronta!” mi urlò facendomi sobbalzare con le poche forze rimaste.
Vicino al letto una figura in camice di una persona che mai scorderò nella mia vita. Sguardo scostante: “Non si preoccupi, me ne farò una ragione” disse rivolto alla sua assistente mentre cominciò a visitarmi con un fare brusco e duro.

So solo che mi veniva da vomitare in tutti i sensi e che maledissi il momento in cui avevo deciso di ricoverarmi in quel posto.
Cominciarono, dalla stessa sera, a somministrarmi farmaci che si rivelarono nel tempo deleteri e che conclusero indegnamente una triste storia che non poteva finire bene.
Quando fui dimessa sapevano tutti che non soffrivo della tale e talaltra patologia, che avevo una depressione grave. Neanche il grande luminare, davanti al quale tutti avevano fatto inchini, come fosse stato il Padre Eterno sceso per visitare i poveri meschini come me, aveva capito che soffrivo di emicrania.

Com’è il falso medico?  Quello che si è fatto medico senza capire come si deve esercitare questa professione difficile e importante?

Semplice. Come quel neurologo che non mi aiutò minimamente, e che mi lasciò alla deriva.

By Vicky