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Ho capito, solo ora, che nella vita sono stata sempre un “facilitatore”.

Quando stavo male da morire, nel vero senso della parola, sopportavo il dolore e non dicevo mai a che livello era la sofferenza. Facevo un errore enorme perché non permettevo a chi mi circondava di capire la gravità del mio problema. Facevo anche del male a me stessa al punto che anche l’autolesionismo diventava la strada più facile da percorrere. Ci vuole coraggio a scrivere queste cose, ma adesso che ne sono venuta fuori, è un po’ più semplice essere coraggiosa.

Rendevo la vita facile a tutti, alle persone che mi amavano e a quelle che non mi amavano, per tanti motivi.

Rendevo la vita comoda ai falsi amici che non si sono mai accorti del mio spirito di sacrificio. Uno di loro, leggendo le mie confessioni scritte nel momento del miglioramento, ha addirittura detto che ho una gran bella fantasia. Intendeva sottolineare che mi sono inventata tutto.

Sono stata un facilitatore quando qualcuno mi offendeva e mi offendeva con leggerezza. Non era vero che non me ne accorgevo, ma lasciavo fare perché non ce la facevo a reagire, non ne avevo le forze.

Chi aveva calpestato la mia dignità, insisteva nel tempo in questo atteggiamento perché gli piaceva e, non notando in me alcuna reazione negativa, si sentiva autorizzato a continuare. Quando ho incominciato a reagire non si è adattato alla nuova situazione.

Purtroppo tra i miei difetti c’è anche che mi accorgo immediatamente quando qualcuno non mi sta dicendo la verità. Lo fa perché è così per natura o perché decide in quel momento di non confrontarsi lealmente. Lì lo cerco io, sbagliando, un chiarimento, ma naturalmente non arriva.

Sono un facilitatore quando aiuto senza badare al sacrificio che comporta per me e poi sparisco per un po’ per riprendere le energie.

Quando torno spesso molti se ne sono andati perché nel frattempo o hanno frainteso la mia assenza o hanno semplicemente preferito così.

Non è stato e non è bello tutto questo.

Ma ormai lo accetto come effetto collaterale della mia vita così come accetto a volte gli effetti collaterali dei bugiardini.

Devo accettare quello che patisco, sia che ciò venga capito sia che ciò non avvenga. Importante è che io, almeno questo, mi assolva e mi rispetti davvero per come sono.

È importante che io creda davvero di valere qualcosa, e che creda fermamente di non essere solo da buttare via.

 

Sentirsi una nullità è sintomo del male dell’anima.

Si chiama buio.

Ha il sapore della disperazione.

Nessuno dovrebbe mai provare questa sensazione.

Nessuno dovrebbe mai provocarla.

By Vicky